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CALCIO FEMMINILE

SPORT'S HISTORY
CALCIO FEMMINILE
I primi “calci sportivi” ad un pallone da parte delle donne risalgono ai primi del ‘900
 
Un viaggio che parte da lontano
 
di Augusto Rosati
 
Il calcio è certamente lo sport più praticato al mondo, ma solo una minima parte dei praticanti appartiene al genere femminile. Oggi le cose stanno gradatamente modificandosi e dopo una serie di tortuose ed impegnative vicissitudini, le donne sono riuscite ad imporsi con personalità e capacità anche nel mondo del pallone. Non dimenticando che dal 1996 il calcio femminile è parte integrante del programma dei Giochi Olimpici, però il cammino per una sua totale affermazione non si è ancora completato. Ma certamente, come si evince dalla stringata sintesi che vi proponiamo, “il più” è stato fatto.
Rispetto alla ricca storia ed alle tante storie circolanti sul calcio maschile, le narrazioni sul football marcato “gentil sesso” scarseggiano in modo evidente. Però, grazie al recente exploit tecnico-sportivo e mediatico registrato durante il recente torneo iridato in terra di Francia, diversi operatori della comunicazione hanno iniziato ad approfondire le conoscenze sullo sport del pallone giocato dalle donne, dalle quali emergono  racconti davvero avvincenti sulle sue origini e sul suo tortuoso percorso evolutivo.  
Iniziamo partendo dalla “preistoria”.
Secondo il libro pubblicato da Artemio Scardicchio nel 2011,  “Storia e Storie di Calcio Femminile”, si narra che la prima partita in assoluto tra donne venne  disputata in Scozia nel 1795. Molto più probabilmente, l’esordio vero e proprio del calcio “versione rosa” va fatto risalire al periodo della prima guerra mondiale (parliamo quindi dei primi del Novecento), in Inghilterra. Qui - come peraltro in tempi analoghi si registrò in quasi tutti i Paesi coinvolti nel maledetto conflitto – poiché la maggioranza degli uomini era stata spedita sui fronti di guerra, maturò per forza di cose l’inserimento sostitutivo delle donne nel mondo del lavoro, anche per attività fino ad allora esclusivamente maschili e tra queste il lavoro in fabbrica.
Fu proprio all’interno di un opificio, il Dick Kerr, produttore di munizioni belliche, che molte operaie, durante la pausa pranzo, per puro divertimento (…non certo per favorire la digestione del modesto desinare…) cominciarono a tirar calci ad un pallone nel cortile a fianco al refettorio. Sembra che di lì a poco questo “divertissement post prandiale”, da passatempo estemporaneo, divenne per molte di quelle operaie un rituale al quale si applicavano con sempre maggior passione e capacità, tant’è che ad un certo punto decisero di organizzarsi (sul modello maschile) in vero e proprio club che chiamarono (…riproponiamo la traduzione italiana) le “Signore del Kerr”. Quelle ragazze avevano fondato la prima squadra femminile inglese di calcio, e probabilmente del mondo.
Insomma, questa sembra sia stata la scintilla primordiale che diede inizio al “calcio femminile”, un fenomeno che non tardò a stimolare la curiosità della gente, tant’è che furono organizzati molti incontri, tutti rigorosamente con finalità di beneficenza, tra le “Signore del Kerr” contro diverse rappresentative maschili. E qui più che la cronaca di quegli eventi, entra di scena la leggenda, che racconta come non poche volte i “maschietti” trovarono difficoltà a rispondere ai dribbling ed ai tackle delle audaci “femminucce”.
Cosa inconfutabile però è rilevare come il successo e l’entusiasmo scatenato da tali performance portò alla nascita di altre squadre femminili, dapprima nel Regno Unito e poi anche al di fuori dei confini inglesi, tant’è che nel Natale del 1917 avvenne il primo “incontro internazionale” tra le Signore del Kerr contro una omologa squadra francese. Fu un successo di pubblico, e “si dice” (sarà da crederci?) che sugli spalti si contarono almeno ventimila persone, che più dell’aspetto sportivo erano incuriosite dall’insolito evento.
Ovviamente all’espandersi della disciplina e soprattutto al proliferare delle partite promiscue “donne vs uomini”, non furono registrate solo unanimi simpatie e consensi. Infatti, superata la prima fase della curiosità (…magari anche un po’ morbosa), iniziò a prendere il sopravvento la “bacchettoneria ed il perbenismo”, imperanti in modo particolare, soprattutto in quel tempo, nella società anglo-sassone, in specie tra la borghesia e la nobiltà. In modo crescente cominciarono a proliferarsi voci contrarie, che ritenevano “indecente” veder delle ragazze divertirsi a prender a calci un pallone. Questo anche in ambito sportivo. Il primo grande no, che ebbe conseguenze concrete, venne pronunciato nella vicina Scozia, allorquando il Consiglio dell’Associazione Gioco Calcio Scozzese proibì ai propri club maschili affiliati, di disputare incontri con squadre femminili, anche quelli ad esclusivo scopo caritatevole.  Ma la caparbietà delle “Signore del Kerr” fu davvero tanta, che non ci fu ostacolo a frenare la loro passione, tant’è che il “top” del loro impegno maturò i suoi frutti attorno al 1921, allorquando il loro successo si espanse per tutta l’Inghilterra, trasbordando addirittura oltre Manica. Il loro “darsi da fare” (sembra che giocassero una media di 70 partite l’anno!) non mancò di stimolare l’emulazione di tante altre ragazze, tant’è che furono fondati oltre un centinaio di club di “giocatrici in gonnella” (…termine d’obbligo, visto che durante le partite le calciatrici indossavano gonne lunghe e pesanti corsetti).
Ma il vero stop oppositorio porta la data del 5 dicembre 1921, con un provvedimento che arrestò l’espansione del calcio femminile, innanzitutto in Inghilterra, e poi in stretta relazione, anche nel resto d’Europa. Questo il testo: “A causa dei reclami fatti a proposito del calcio femminile, il Consiglio del Calcio Britannico si sente costretto ad esprimere il suo parere, ritenendo il nostro sport inadatto alle donne e per questo motivo non deve esserne incoraggiata la pratica. Il Consiglio richiede, quindi, alle squadre (ndr: maschili) appartenenti all’Associazione di non far disputare tali incontri sui loro campi di gioco”.
Si sterilizzò ogni forma di proselitismo, ma è pur vero che le Signore del Kerr, in modo ridotto e decrescente, e soprattutto senza più tanti riflettori puntati, continuarono nel loro piccolo a coltivare la loro passione, coinvolgendo tra l’altro, in un naturale processo di rinnovamento, anche figlie e nipoti. Questo fin quasi alla fine degli anni Trenta, ove purtroppo il pesante clima politico, sociale ed economico che poi sfociò nella tragedia e nel dolore della Seconda Guerra Mondiale, portò a scrivere la parola “fine” ad una avventura davvero straordinaria e leggendaria, durante la quale, secondo quanto scrivono alcuni autori,  questo originale Club, il cui nome rimarrà scolpito nella storia del calcio femminile, disputò  828 partite, vincendone 758, pareggiandone 46 e perdendone soltanto 24, segnando la bellezza di 3500 goal.
Dopo il secondo conflitto mondiale, probabilmente sulla spinta dell’impellente desiderio delle persone di “riaffacciarsi alla vita ed alla normalità”, come per tante altre espressioni dell’attività umana messe forzatamente in quarantena in quei cinque anni tremendi e luttuosi, anche “le ragazze del pallone” cominciarono a riaffacciarsi. All’inizio, nei paesi del nord Europa, in particolare in Norvegia, in Svezia e nei Paesi del Benelux, poi, pian piano, in altre Nazioni. Fu una maturazione lenta, ma progressiva, che si sviluppò in una decina d’anni, e che poi, preso il via, si espanse in modo inesorabile. Già dai primi anni ’60, sulla scia delle leghe nazionali, si formarono parecchie federazioni regionali ed anche gli incontri internazionali cominciarono a diventare comuni.
Passando ad accennare qualche informazione su quanto sia accaduto da noi in Italia, purtroppo c’è subito da rilevare che il nostro Paese non è certo da meno circa la scarsezza di documenti che ci raccontino la nascita ed i primi passi del calcio femminile qui a casa nostra.  
Unica fonte con una certa attendibilità  a cui abbiamo potuto fare riferimento è Wikipedia, la “libera enciclopedia” mondiale online, dalla quale apprendiamo che il primo club sportivo italiano nato “per far giocare a pallone” le ragazze (…anche da noi le giocatrici scendevano in campo con la sottana), venne fondato nel 1930 a Milano. il Gruppo Femminile Calcistico. Fu una esperienza che però durò meno di un anno, ma che, sempre da quanto riporta la sopracitata fonte telematica, non mancò al suo apparire di suscitare curiosità ed interesse tra la gente. Anche la stampa non ignorò il fenomeno, come si evince sfogliando la storica rivista Il Calcio Illustrato di quei mesi. Non solo: la loro comparsa fu subito emulata da altri gruppi di ragazze, anche oltre i confini del capoluogo lombardo, tant’è che risulta che altre “iniziative organizzate” di calcio femminile ebbero luogo in alcune città del Nord Italia. Come nell’esperienza inglese delle Signore del Kerr, anche da noi la curiosità iniziale si trasformò presto in un atteggiamento ostile verso il nuovo movimento: infatti non passarono più di nove mesi dalla fondazione del GSC MILANO, che emerse una dura opposizione da parte delle autorità sportive (in testa lo stesso CONI) e soprattutto dalla dirigenza territoriale ma anche nazionale del regime fascista. Fu così che in pochi mesi l’ipotesi di un “calcio in gonnella” svanì del tutto, per ricomparire comunque dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Fu infatti nel 1946 che si ricominciò a parlare di calcio femminile in termini di “ricostruzione del movimento”. Primo concreto segno in tal senso si registrò a Trieste, allorquando furono fondati due specifici sodalizi, la Triestina e le Ragazze di San Giusto. Poi, a seguire nel tempo, e sulla scorta della domanda crescente da parte del mondo delle giovani donne  che giustamente volevano divertirsi a giocare a calcio in modo organizzato come da sempre era stato possibile agli uomini, altri club cominciarono a costituirsi e ad attivarsi nel Paese.
Fu una crescita esponenziale, che probabilmente era anche da configurare nel contesto delle emergenti e sacrosante rivendicazioni di parità di diritti tra i due sessi. L’entusiasmo e l’adesione furono tali, che le associazioni allora coinvolte cominciarono a maturare l’esigenza che per “fare davvero un passo in avanti” si sarebbe dovuto dare vita ad un Comitato di Coordinamento, atto a garantire, sul piano regolamentare, un “fil rouge gestionale” ai tanti piccoli tornei a cui fino ad allora davano vita in modalità spontanea e disarticolata. Fu nel 1950 che venne fondata l’Associazione Italiana Calcio Femminile (AICF), a cui aderirono alcune decine di società. Però anche questa esperienza non ebbe lo sviluppo sperato: già dopo sei anni dalla sua costituzione cominciò ad emergere, oltre a qualche immancabile dissapore interno, un rallentamento graduale d’interesse (mediatico, sportivo ed anche economico), che portò nel 1959 alla fine di questa seconda avventura. E da quel momento ci fu un periodo di “nulla assoluto”, che si protrasse per oltre 25 anni.
Perché il football al femminile ricominciasse (stavolta definitivamente) a riprendere il cammino per una sua giusta collocazione nel panorama sportivo italiano, è necessario attendere fino al 1968, allorquando venne fondata la FICF, Federazione Italiana Calcio Femminile, alla quale si affiliano decine e decine di società. Il primo passo per dare concretezza a quello che si stava presentando non più come un fenomeno modale, ma sport a tutti gli effetti, fu la istituzione di un vero e proprio campionato, a cui furono ammesse dieci squadre, divise, secondo la posizione geografica di appartenenza, in due gironi.
Ovviamente come ogni nuovo percorso, non fu tutto “rose e fiori”, e da lì a poco si registrarono nuovi cambiamenti relativamente all’ente gestore della disciplina: dapprima ci fu l’uscita di alcune società dalla citata Federazione Italiana Calcio Femminile per creare un altro organismo, la Federazione Italiana Femminile Gioco Calcio (con acronimo FIFGC), poi nel 1972 la “riappacificazione” tra le due federazioni che si uniscono in una nuova sigla, la FFIUGC, ed ancora, nel 1974 la modifica del nome in FIGCF, che nel 1983 viene riconosciuta dal CONI come Federazione Aderente. Quindi ci sono altri passaggi, modifiche e traformazioni (che non raccontiamo per timore di annoiare il lettore), fino ad arrivare agli anni ’90, allorquando si pongono le basi per il calcio femminile moderno.
Da questo momento il racconto sul calcio femminile entra nella sfera temporale contemporanea, si avvicina ai giorni nostri, per cui la storia si trasforma in cronaca, compito che non è certo della nostra Rivista. E qui, quindi, ci fermiamo, lasciando a testi e documenti probanti (primi fra tutti quelli che può offrire la Federcalcio, in particolare navigando nel sito www.figc.it/it/femminile/la-divisione/storia/ ) l’informazione sul percorso evolutivo di una disciplina, che, come i recenti Mondiali in terra francese, ha dimostrato di passi avanti ne ha fatti davvero tanti.
Augusto Rosati

                       
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