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GIULIO ONESTI

SPORT'S HISTORY
GIULIO ONESTI
L’uomo che guidò il CONI dal ‘46 al ‘78
 
Il mio Presidente Onesti
 
di Fiammetta Scimonelli
 
Un ricordo umanamente affascinate del dirigente che riuscì subito dopo la nascita della Repubblica a ricostruire lo Sport italiano, ridando linfa vitale ad un movimento che è parte integrante della storia della rinascita e della crescita dell’Italia.
Nella mia ultraventennale attività all’Ufficio Stampa del CONI, terminata con le dimissioni nel 1993 dopo l’elezione di Mario Pescante, ho lavorato con tre Presidenti: Giulio Onesti, Franco Carraro e Arrigo Gattai. Sotto la presidenza Onesti sono sempre stata il vice di Donato Martucci, storico capo ufficio stampa del CONI: dopo l’elezione di Franco Carraro nel 1978, quando Martucci nel 1981 per ragioni anagrafiche ha lasciato l’incarico, sono diventata automaticamente responsabile dell’Ufficio (forse per un accordo segreto fra Onesti e Carraro) e lì sono rimasta fino al 1993, quando ho presentato le mie dimissioni al neo Presidente Mario Pescante.
I miei rapporti con l’avv. Onesti, che nei primi anni mi guardava con sospetto, troppo avvezzo a considerare le donne con responsabilità diverse dal lavoro, sono cambiati del tutto durante i Giochi Olimpici di Monaco 1972. Mi avevano portata per dare un aiuto a Martucci, ma ad Onesti, che era molto attento al lavoro dei suoi dipendenti e sempre disposto a riconoscerne le capacità, era piaciuto il mio comportamento nell’occasione difficile che stata vivendo il movimento olimpico e aveva capito che nella scelta e nella diffusione delle informazioni non ero seconda a nessun uomo. Da allora, la sua benevolenza verso di me si è trasformata in confidenza e stima, fino a diventare vero e proprio affetto.  Spesso nel pomeriggio, tornando dalla passeggiata che faceva a piedi fino al tennis, nel tentativo di evitare il pranzo di mezza giornata, si divertiva a girare per gli uffici, a scoprire chi si prodigasse di più, a trattenersi con qualche battuta. Da me veniva spesso, anche perché l’avevano informato che mi ero organizzata per fare il caffè in ufficio, dal momento che il bar chiudeva puntualmente alle 14.  Beveva il caffè, poi mi offriva una Malboro, che considerava una sigaretta “seria” rispetto alle mie Nazionali (all’epoca si poteva fumare in ufficio). Parlavamo naturalmente di sport, della mia atletica, del canottaggio che aveva praticato da giovane, di possibili risultati dei campioni italiani e stranieri. Ma anche di letture, di cinema, di musica. Era severo con Alberto Sordi, che riteneva esagerato nel proporre i lati negativi del popolo italiano, anche se questo giudizio lo mise da parte per accoglierlo al Foro Italico e permettergli di girare alcune riprese di “Polvere di stelle” nel cortile posteriore del Palazzo H che si affaccia sullo Stadio dei Marmi. Criticava la mia valutazione positiva sul film “L’ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci definendomi “intellettuale alla moda” e che a lui era parso ridicolo e anche di cattivo gusto. Mi confidava di non apprezzare l’Opera Lirica, di annoiarsi a teatro, anche quando andava a sentire  il fratello Giorgio che  era un “basso” spesso impegnato nelle rappresentazioni. Un pomeriggio del 1977, pur avendo saputo da Martucci che dovevo andare alla Sala Nervi in Vaticano per sentire il concerto di Arturo Benedetti Michelangeli, tornato a suonare in Italia dopo la scelta di esiliarsi in Svizzera, mi tratteneva con una serie di argomenti interessanti, ironizzando sul fatto che mi vedeva fremente e timorosa di arrivare oltre le 18,30, orario stabilito per l’inizio dell’esibizione del grande pianista. Poi finalmente, con un sorriso un po’ dispettoso, mi lasciò andare augurandomi buon divertimento.
Con lo stesso compiacimento sornione mi aveva obbligato, ai Giochi Olimpici di Montreal 1976, di restare al Villaggio per aiutarlo a scrivere una lettera in francese, mentre stava per iniziare la finale del salto in alto, dove Sara Simeoni  si sarebbe battuta alla ricerca di una medaglia. “Adesso vai”- mi disse finalmente “e spero che tu abbia ragione”. In precedenza, a Roma, durante una camminata lungo i corridoi del CONI, mi aveva chiesto chi, in atletica, poteva vincere una medaglia. E io gli avevo risposto “Sara Simeoni”. “E Mennea?” mi aveva chiesto lui: “Mennea arriverà quarto” gli risposi “… non può farcela  contro statunitensi e americani”. Quella volta avevo visto giusto, e naturalmente il Presidente si complimentò, perché Sara vinse l’argento e Pietro, che a Monaco 1972 aveva conquistato il bronzo nei 200 metri, terminò al quarto posto. Si sarebbe poi rifatto a Mosca ’80, meritando l’oro dopo una gara entusiasmante e Sara Simeoni l’avrebbe imitato vincendo il salto in alto.
Dopo le dimissioni e il trasloco dalla stanza presidenziale a quella riservata ai membri del CIO, mi chiedeva collaborazione per la sua corrispondenza, perché non aveva più una segretaria che gli desse aiuto. Io lo facevo volentieri e questo Onesti lo avvertiva, come avvertiva il distacco che si era creato con altri collaboratori, impegnati a conquistare  nuove simpatie: un comportamento  che viveva con dolore silenzioso. Lui, sempre apparentemente ironico sulle caratteristiche degli umani, considerava quell’irriconoscenza delle persone con le quali aveva lavorato amichevolmente negli anni del tutto incomprensibile. Perché la sua natura, ben nascosta dal sarcasmo talvolta perfino irriverente, era ricca di spirito di amicizia, di lealtà, di comprensione umana. Sembrava tanto in alto, inafferrabile, e invece era una persona dai sentimenti buoni, con un fermo concetto di famiglia, proiettato sempre non solo alla vita e alla crescita dello sport italiano, ma anche al benessere di coloro che, sia pure a livelli diversi, lo coadiuvavano in questa ricerca.
Negli ultimi giorni della sua vita chiese a Carraro di lasciarmi libera nel tardo pomeriggio affinché potessi andare a trovarlo a casa. Aveva bisogno di sapere come andavano le cose al CONI, le novità giornalistiche, commentare con me i risultati ottenuti dagli azzurri nelle diverse discipline. Lui era stanco, provato. “Non mangia quasi niente” mi diceva la moglie Gabriella, preoccupata per questa inesorabile caduta. Nel sentire i miei racconti si rincuorava un po’, ma ogni giorno che passava mi sembrava più abbattuto, anche se sempre vigile e curioso. L’ultimo pomeriggio – non  dimenticherò mai la telefonata di Gabriella alle 13, che mi chiedeva di anticipare la visita quotidiana  forse consapevole di quanto sarebbe successo di lì a poche ore – e tantomeno il colloquio con il Presidente, mi è rimasto scolpito nella mia memoria. Tormentato da un respiro affannoso, ma tuttavia sorridente, mi disse ad un certo punto: “…povera Scimonelli, quanto lavoro ti aspetta”.
Non mi aveva chiamata per nome, come  sempre, ma per cognome, come si fa con gli uomini, quasi a voler dichiarare il suo intimo pensiero nei confronti delle mie capacità.
Se ne andava così il Presidente che aveva guidato il CONI dal 1946 al 1978. Colui che si era ribellato alla politica quando la politica voleva sciogliere l’Ente, riuscendo a ricostruire lo sport  italiano nel dopoguerra, riunendo tutta l’organizzazione sportiva per aprire le nuove basi di un movimento che rientra della storia della rinascita e della crescita dell’Italia. Colui che  aveva sposato l’dea del  Totocalcio, ideato da Massimo Della Pergola e gestito dalla Sisal, ottenendone nel 1948 la gestione diretta del CONI nella ferma convinzione che  le possibilità economiche offerte dal Concorso, sarebbero state fonte indispensabile non solo di sopravvivenza, ma di sviluppo per lo sport. Colui che nel corso degli anni aveva costruito, in accordo con Comuni e Provveditorati, campi sportivi scolastici, palestre e piscine tipo, impianti prototipo in 12 città di 7 province. Colui che era riuscito a realizzare  gli Impianti olimpici di Roma (Stadio Olimpico, Stadio del nuoto, Palazzo e Palazzetto dello sport, Velodromo, Stadio Flaminio, Piscina delle Rose, Campo per regate ad Albano) e  quelli  di Cortina d’Ampezzo (Stadio del Ghiaccio e Trampolino “Italia”)  oltre alla perfetta conservazione  dello Stadio dei Marmi. Colui che  aveva fermamente voluto la creazione del Complesso sportivo dell’Acqua Acetosa e della zona sportiva delle Tre Fontane all’EUR. Colui che, assieme a Bruno Zauli, si era battuto ed aveva ottenuto l’organizzazione dei Giochi Invernali di Cortina 1956 e quella dei Giochi Olimpici di Roma 1960. Ed ancora, l’illuminato dirigente  che aveva ideato la Scuola dello Sport e l’Istituto di Medicina Sportiva; che era diventato membro del CIO nel 1964,  e poi Presidente dell’Assemblea dei Comitati Olimpici da lui organizzata per stimolare sempre di più l’attività sportiva nei diversi Paesi del mondo e coordinatore del CIO per la solidarietà olimpica; che aveva combattuto l’Apartheid del Sud Africa e aperto i rapporti con la Cina; che aveva  conquistato rispetto e ammirazione in tutte le organizzazioni sportive mondiali; che battendosi con convinzione per l’attività sportiva scolastica, aveva indetto nel 1976 i Giochi della Gioventù.
Tutto ciò sempre difendendo l’indipendenza dello sport italiano da ogni tipo di ingerenza.
Se ne andava nella sua casa romana, nel pomeriggio dell’11 dicembre 1981, a soli 69 anni, stretto nell’abbraccio della moglie Gabriella e del figlio Massimo (che come ha scritto Franco Carraro nel libro di Augusto Frasca, lo avrebbero poi raggiunto prematuramente) e sotto lo sguardo di pochi e fedeli amici, l’uomo che era stato in grado per oltre un trentennio di far crescere lo sport italiano, di sapersi avvalere di presidenti federali appassionati come lui, di capire l’evolversi della cultura sportiva e di allargare il lavoro delle Regioni e delle Province verso lo sport per tutti, di tenere sempre vivo il dialogo con gli atleti, ma anche con le forze politiche, senza mai dimenticare che è il lavoro comune a portare i suoi frutti e non le parole inutili e di convenienza,  mai tradotte in soluzioni concrete. Giulio Onesti era un uomo speciale, difficile da essere paragonato con chicchessia.  E il cordoglio unanime per la sua scomparsa fu ben sottolineato dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, oltre che dall’amico Giulio Andreotti, che vennero a salutarlo nella Camera Ardente allestita nel Salone del CONI due giorni prima delle esequie, celebrate nella Basilica di Santa Maria degli Angeli il 14 dicembre del 1981.  L’avvocato Giulio Onesti, a trentasei anni dalla morte, non è dimenticato.  A ricordarlo è il Comitato Olimpico Italiano, che ne conserva l’immagine nel grande Salone d’onore e la bella scultura dell’artista reatino Bernardino Morsani che domina l’ingresso della stessa sala. Ma non solo: gli ha dedicato il Centro di preparazione olimpica dell’Acqua Acetosa, una delle tante idee portate avanti dal grande dirigente, che rimane un vero gioiello per il movimento sportivo del Paese, il cui ingresso si trova proprio nel piazzale dedicato al suo nome e che accoglie la Scuola dello Sport e il Centro di Preparazione Olimpica.
Lo ricorda la Fondazione Onesti, Ente no-profit costituito a Roma nel 1983, che riunisce Aziende collegate all’attività sportiva e che ogni anno, oltre ad iniziative sociali e culturali portate avanti in collaborazione con il CONI e l’Accademia Olimpica nazionale italiana, consegna il Premio Onesti(un piccolo esemplare della scultura di Morsani) a personalità che operano nella dirigenza sportiva o ad atleti olimpionici  di particolari caratteristiche umane  e culturali. Nel 2012, a cento anni dalla nascita di Onesti, la Fondazione ottenne anche dal Ministero delle Poste l’emissione di un francobollo commemorativo.
Su Giulio Onesti sono stati fin qui pubblicati 4 libri. Il primo nel 1986, di Mario Pennacchia, edito da Lucarini, che oltre a proporre un’Agenda della  lunga e complessa attività del dirigente, raccoglie testimonianze affascinanti e illustri di politici, di dirigenti e di giornalisti, ed anche della moglie Gabriella, che metteva in luce, sia pure con particolare riservatezza, le caratteristiche umane e familiari dell’uomo che aveva sposato nel ’55. Poi fu il compianto Tonino De Juliis che, con la Società Stampa Sportiva, nel  2000, ha pubblicato il saggio di storia dello sport italiano “Dal culto dell’indipendenza all’eredità rinunciata”, dedicato agli inizi dell’attività al CONI di Giulio Onesti, e poi nel 2001, il volume “Il CONI di Giulio Onesti: da Montecitorio al Foro Italico”.
Infine, nel 2012, Augusto Frasca , a cento anni dalla nascita del protagonista, ha realizzato, per il CONI e la Fondazione , il prezioso volume “Giulio Onesti, lo sport italiano”, la storia completa e dettagliata  del cammino compiuto dal  grande Presidente per la ricostruzione e lo sviluppo dell’attività sportiva nazionale. Il titolo stesso del volume  vuole proprio sottolineare che se non ci fosse stato Onesti, lo sport italiano non solo non si sarebbe ripreso dalla tragedia della guerra, ma non avrebbe neppure raggiunto il livello sportivo e culturale sviluppato nel tempo. Il libro di Frasca, che andrebbe letto da tutti,  dovrebbe  trovare posto non solo in tutte le case degli sportivi italiani, ma, suggerirei, anche di coloro che guidano il Paese perché dal grande Presidente del CONI c’è tanto da imparare sia sul piano umano che su quello politico.
Da parte di chi vi scrive, ho cercato di riassumere brevemente (…anche se per una rivista le battute da me prodotte sono state davvero tante) l’attività ultratrentennale di un dirigente eccezionale, che giornalisti e storici hanno dettagliatamente raccontato. So che Franco Carraro, che condivide la mia ammirazione ed il mio affetto per il suo predecessore, e come lui Arrigo Gattai, con il quale ho conservato rapporti amichevoli fino alla sua scomparsa, non me ne vorranno per quello che sto per affermare. Ed anche Mario Pescante, che pur avendo accettato le mie dimissioni dopo la sua elezione alla presidenza nel 1993, mi ha seguito e incoraggiato per tutti i quattro anni della mia direzione alla rivista ufficiale del CONI “Lo sport italiano”, penso e spero che capirà i miei sentimenti. Infine, mi auguro la stessa comprensione da parte di Gianni Petrucci e di Giovanni Malagò. Perché per me Giulio Onesti è stato e rimarrà sempre il “Mio Presidente”.
Fiammetta Scimonelli

                       
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